Asprenas 2015 – 3

PRESENTAZIONE

1. Nel cuore della misericordia c’è Gesù Cristo, il Figlio di Dio, che ha dato la sua vita per la salvezza di tutto il mondo. Gesù è risorto dai morti per sempre ed è stato costituito dal Padre “Signore e Messia” nella potenza dello Spirito Santo. Egli è la “dolce”, “buona” e “bella” notizia che noi tutti dobbiamo annunciare al mondo e celebrare durante quest’Anno di grazia che papa Francesco ha voluto donare a tutta la chiesa e non solo.
Ne siamo veramente convinti? Come ci stiamo preparando a questo evento? Quali strumenti abbiamo a disposizione affinché non solo i battezzati ma l’intero genere umano possa contemplare in Gesù Cristo il volto misericordioso del Padre? Sentiamo il bisogno di essere perdonati e di confessare ogni nostro peccato? Siamo disposti a compiere gesti e opere di misericordia? E come si manifesta concretamente la misericordia di Dio per noi? A queste e ad altre importanti domande vogliono rispondere i contributi raccolti nel fascicolo speciale della nostra Rivista di Teologia Asprenas. Sono contributi a carattere biblico, teologico, spirituale, filosofico, interreligioso, liturgico ed etico che danno seriamente a pensare su come celebrare (il metodo) e qual è il senso autentico del Giubileo straordinario della misericordia.
Come ho scritto nella Lettera che accompagna il Calendario Diocesano di Napoli per l’Anno Santo, esso è «tempo favorevole per riscoprire l’immenso amore che Dio – ricco di misericordia – ci offre. Dobbiamo costatare che, purtroppo, da molto tempo viviamo una crisi della misericordia dovuta principalmente a una cultura materialista fino al punto da negare, in nome dell’assoluta autosufficienza dell’uomo, qualsiasi male o peccato: è la perdita del senso di colpa per cui, si dice, non ha senso predicare il “Vangelo della misericordia” né per se stessi né per gli altri» (p. 4). Un dato è certo: la misericordia, intesa come amore di Dio per noi, amore che si consuma fino al dono estremo della vita del Figlio di Dio, è il segreto della vera felicità, ossia la risposta al problema dell’uomo e al senso della vita. Per Dio, essere misericordioso vuol dire custodire nel bene ogni sua creatura, nonostante il peccato che può segnare la nostra esistenza e il male nel mondo. La misericordia di Dio copre i peccati e ci custodisce nel bene, ossia nel Figlio suo, crocifisso e risorto.
Per essere felici, allora, occorre divenire persone riconciliate, pacificate, capaci di essere – a propria volta – strumenti di pace e di perdono. Papa Francesco, nella bolla d’indizione del Giubileo straordinario della misericordia, afferma che «abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia» (Misericordiae vultus 2). Perché? La risposta è semplice ma non scontata: perché essa è «fonte di gioia, di serenità e di pace» ed è «condizione della nostra salvezza». Inoltre, la misericordia è «parola che rivela il mistero della SS. Trinità», nonché «l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro» e, ancora, «è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita» (ivi).
 
2. Oggi più che mai abbiamo la responsabilità – come chiesa – di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre. La misericordia rende anche la nostra storia un’esperienza autentica di salvezza, di amore, di perdono, di incontro vivo e concreto con il Signore. L’intera vita di Gesù Cristo è segnata dall’amore del Padre. Tale esperienza è anche la nostra. Non dobbiamo darci per vinti e continuare ad amare nonostante il peccato del mondo e l’esperienza di fallimento e di dolore che possiamo fare in famiglia, in comunità, sul posto di lavoro e in qualsiasi altro ambito della vita affettiva e sociale. È sufficiente ripensare ai gesti estremi e folli dei terroristi in questi ultimi mesi per scoraggiarsi, per perdere la speranza e rinunciare a ogni impegno per il dialogo, l’amore fraterno, il perdono, la riconciliazione. In realtà non è così: la misericordia di Dio – Cristo – chiede a ogni suo discepolo di abbandonare la logica della vendetta e di prendere le distanze dalla spirale del male, per seguire i sentieri della pace e della giustizia. Sul principio del perdono, della misericordia, dell’amore verso il prossimo (che ingloba quello del nemico), si gioca la credibilità delle nostre Chiese, delle comunità, delle fraternità, delle famiglie cristiane, della stessa vita consacrata, della testimonianza di ogni singolo battezzato innanzi al mondo e alla società non credente. Sull’esperienza del perdono e della riconciliazione, ancor di più, si progetta il futuro dell’uomo e il destino del mondo: perché senza amore e perdono – privo di misericordia
– l’umanesimo perde la sua vera identità e tende a impoverirsi, a ridursi a ideologia, a fondamentalismo. Perché l’amore – come dono di sé per l’altro – è la risposta al problema dell’uomo e al senso della vita! Le Sacre Scritture partono da questo principio: il male non è una forza anonima che opera nel mondo in virtù di meccanismi deterministici e impersonali. No. Il male opera attraverso la libertà dell’uomo, come nel caso dei terroristi e della tanta violenza vissuta nelle ultime settimane a Beirut, Parigi, Mali, Gerusalemme, Palestina, Egitto. Il male ha sempre un volto e un nome: lo sguardo e il vissuto di uomini e donne che liberamente lo scelgono. C’è una responsabilità morale dell’uomo nel momento in cui egli sceglie la via del male e della morte, ossia del peccato. Il male è, in definitiva, un tragico sottrarsi alle esigenze dell’amore. A questo proposito, sant’Agostino afferma: «Due amori hanno fondato due città: l’amore di sé, portato fino al disprezzo di Dio, ha generato la città terrena; l’amore di Dio, portato fino al disprezzo di sé, ha generato la città celeste» (De civitate Dei XIV,28). Bisogna convincersi che la violenza è sempre una menzogna, anche se sembra plausibile per coloro che ci hanno fatto del male. Vi è una grammatica della legge morale universale che cerca sempre il bene dell’uomo e di tutelare la vita in tutte le sue forme e condizioni. L’amore per il prossimo e per i nemici, in quest’ottica, diventa il contributo del cristianesimo per promuovere la grande opera educativa delle coscienze al bene più grande che è la pace, ossia il raggiungimento di un umanesimo integrale e solidale. Detto altrimenti, con le parole di Benedetto XVI, «l’uomo viene redento mediante l’amore» (Spe salvi 26). Si tratta dell’amore di sé, del dono della vita per salvare gli altri, gratuitamente, così come testimonia l’ethos di Gesù Cristo. L’amore che perdona, che dà misericordia, in quanto custodisce l’altro nel bene, preservandolo dal male, è un autentico atto di giustizia – agire a favore delle persone – che il discepolo di Gesù compie “quasi imitando” l’agire di Dio in nostro favore.
 

3. La misericordia è il modo d’agire di Dio fin dai primordi della nostra storia. Dio sempre risponde con la pienezza del perdono, spezzando la spirale della violenza e dell’odio che si trova costantemente all’origine di ogni convivenza umana e sociale. È questo il senso della vera giustizia: la sovranità di Dio sul mondo che tende a rinsaldare ogni relazione fallita. L’amore che perdona non ha confini e rimette in gioco il progetto di Dio: creare sulla terra una vera e concretissima fraternità universale che ha la sua radice teologica in Dio e il suo fondamento storico nell’alleanza con Israele. Questo progetto trova pienezza di senso nella passione e risurrezione di Gesù; perché il vero potere dell’uomo è far morire se stessi, oltrepassando ogni sentimento di vendetta e realizzando quel cammino di misericordia che porta a cercare i fratelli e a costruire una vera fraternità. Il sogno di Dio – ossia la fraternità universale tra gli uomini e le donne della terra – è un’utopia nel senso che progetta l’uguaglianza tra tutte le persone. Tuttavia, non è utopia perché non trova riscontro nella realtà o perché è proposto soltanto come ideale e come modello di vita. È la sfida del cristianesimo, ossia della croce, nonché la testimonianza concreta che noi possiamo rendere al Padre fonte della vita e ricco di misericordia. Amare il prossimo, essere misericordiosi, vuol dire mettersi sulla stessa lunghezza d’onda dei sentimenti di Dio e dell’agire concreto di Cristo. È appunto agire – ma ancor prima essere – in amore, vivere cioè l’ethos agapico. “Agapico” perché riconosce solo nell’amore come dono di sé la vera libertà e il modo concreto per amare Dio e i fratelli, senza possedere nulla e senza rimpianti. I due pericoli dell’amore, a ogni livello, sono il possesso geloso dell’altro, che soffoca il dono stesso dell’amore, e il rimpianto, che impoverisce il dono stesso dell’amore e anche dell’amicizia. Siamo in grado di amare Dio e il prossimo perché il Signore stesso ci ha amato per primo. Da questa esperienza fontale di gratuità scaturisce l’ethos cristiano come gratitudine, lode, dono libero e felice di sé per il bene dell’altro. Chi ama Dio e i fratelli, finanche i propri persecutori, è veramente una persona libera, felice, appassionata della vita e del mondo, di Dio e delle sue creature. Il discepolo che ama come Gesù sa che perdonare significa donare attraverso le sofferenze e il male vissuto, e diventa capace di fare anche del torto subìto l’occasione di un dono. Nel perdono non si tratta di attenuare la responsabilità di chi ha commesso il male. Perché si perdona ciò che non è scusabile, l’ingiustificabile – il male commesso – e che tale resta, come permangono le cicatrici del male infetto. Il perdono non toglie l’irreversibilità del male subito, ma lo assume come passato e, facendo prevalere una relazione di grazia su un rapporto di ritorsione, crea le premesse di un rinnovamento della relazione tra le persone in conflitto.

4. Come pastore della bella e santa Chiesa di Napoli, ricca di testimonianze di carità, di accoglienza, di perdono, di dialogo, di solidarietà, vorrei che, oltre a “pensare la misericordia” – come momento teoretico, critico e fondativo della fede e dell’amore –, ci occupassimo anche dell’agire misericordioso delle nostre comunità. Si tratta di compiere quelle opere di misericordia corporale e spirituale che stanno tanto a cuore a papa Francesco e che rientrano, già da tempo, anche nel nostro progetto pastorale. La misericordia di Dio è fatta di gesti concreti. È in questa prospettiva che dobbiamo rileggere l’Anno giubilare e lo stesso contributo culturale e accademico che la Sezione San Tommaso d’Aquino della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale rende ai cristiani e a ogni persona di buona volontà che voglia confrontarsi con il Vangelo di Gesù Cristo. Raccontare la misericordia di Dio vuol dire non lasciarsi rubare la speranza, non cedere alle lusinghe del mondo ed essere consapevoli che il Signore ci sta cercando per abbracciarci, per baciarci, per amarci di più. Da qui la grande sfida – non solo per la nostra Diocesi e per le istituzioni accademiche a essa correlate – che papa Francesco ci ha consegnato nell’omelia tenuta durante la celebrazione eucaristica in piazza del Plebiscito il 21 marzo scorso: «Portare misericordia, portare perdono, portare pace, portare gioia nei sacramenti e nell’ascolto». Questo numero speciale di Asprenas giunga, così, a ogni docente, a qualsiasi studioso e studente di teologia, a tutti gli operatori pastorali, ai religiosi, ai laici impegnati nelle diverse chiese locali, a quanti – pur non credenti o distanti dalle nostre comunità – si fanno strumento di pace e di dialogo, di incontro e di riconciliazione, di perdono e di fraternità, per raccontare, celebrare e vivere ogni giorno la misericordia di Dio per noi e per essere, nella storia, misericordiosi come il Padre.
 

Card. CRESCENZIO SEPE
Arcivescovo Metropolita di Napoli
Gran Cancelliere
della Pontificia Facoltà Teologica
dell’Italia Meridionale