Asprenas 2018 – 3/4

EDITORIALE

Ogni anno donatoci dalla grazia del Signore si valuta facendone un bilancio ponderato. Poniamo nella colonna delle entrate tutti gli avvenimenti positivi, che hanno recato vantaggio, prestigio, guadagno economico, avanzamento di carriera, mentre nella colonna delle uscite collochiamo le battute d’arresto, gli incidenti di percorso, qualche problema di salute…

Chiudendo questo fascicolo doppio di Asprenas per darlo alle stampe e trovandoci al termine di un anno come il 2018, non possiamo pure noi non tracciare un breve bilancio, dal quale risulta ancora una volta che la teologia non rimane alla finestra, ma si cala nelle ansie, nelle gioie, nei dolori e nelle speranze della chiesa intera. L’anno ormai al termine, infatti, è stato senz’altro colmo di amarezze e di sconcerto per le numerosissime e gravissime colpe di tanti uomini, perfino ai più alti livelli, che avrebbero dovuto servire Dio e il suo popolo con dedizione e disinteresse. Nella Prima Lettera di Pietro si esortano i “presbiteri” con queste parole: «Pascete il gregge di Dio a voi affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce» (5,2-4).

Sarebbe ingeneroso, tuttavia, marcare quest’anno in maniera così negativa, perché lo Spirito ha donato molteplici situazioni e occasioni in cui il volto della chiesa può risplendere nella sua più luminosa bellezza. È il caso della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale (Roma, 3-28 ottobre). È stata una grande testimonianza data dalla chiesa al mondo intero, che non si occupa dei giovani se non per sfruttarli, per proporne un’immagine falsa di giovanilismo, orientato solo al consumismo, all’imposizione di mode poco rispettose della decenza, senza invece ascoltarne la voce, le vere esigenze esistenziali, il loro bisogno di esprimere la loro creatività per la trasformazione del mondo.

Aver coinvolto i giovani per prendere coscienze delle loro istanze, dei loro sogni, ma anche del loro autentico desiderio di costruire una società a misura di uomo e una chiesa più fedele ai suoi ideali evangelici, rappresenta una proposta profetica in questo mondo nel quale la tecnocrazia prende il sopravvento e diminuiscono gli spazi di democrazia. Ci auguriamo con il nuovo anno di vedere ancora la chiesa essere protagonista, facendo risuonare la parola del Vangelo alle orecchie dell’umanità, bisognosa di ritrovare la pace, la solidarietà, la fraternità e di contemplare lo splendore del volto paterno di Dio.

Per realizzare questo, è necessario che la comunità ecclesiale torni a impegnarsi seriamente a educare al gusto dei valori etici ed estetici testimoniati dalla Bibbia, considerando il ruolo, la diffusione che essa ha avuto e, in prospettiva, il potenziale positivo che ha ancora per il bene della popolazione nel nostro Paese. È quanto propone il contributo di Ernesto BorghiLeggere i Vangeli in una prospettiva di educazione all’umano. L’autore, prendendo spunto da alcuni brani del Vangelo di Matteo, ne fa un confronto basato su interrogativi con i quali, dopo un necessario inquadramento esegetico, si cerca di far emergere orizzonti compatibili con la vita quotidiana a livello comunitario e individuale, in vista di una maturazione educativa cristiana nella logica della libertà e della responsabilità, escludendo indottrinamento e devozionalismo.

Potrebbe sembrare di segno opposto, invece, lo studio di Gianfranco BelsitoLa pietà popolare, i giovani e Maria. In realtà, si evidenzia una linea coerente di continuità con il discorso pastorale ed educativo dell’articolo precedente, perché si parte dal vissuto della fede popolare, che ha profondamente innervato la cultura del nostro popolo, qui in particolare quello della Calabria. La pietà popolare e la devozione mariana, facendo appello alle suggestive esperienze umane dell’apprezzamento della bellezza come dell’amarezza del dolore, consentono di valorizzare quelle dimensioni profonde dell’umano tali da poter perfino parlare ai giovani, ritenuti solitamente lontani dalla fede.

Radici religiose, cristiane e finanche bibliche quelle che si riscontrano in un protagonista non di secondo piano come Jean-Jacques Rousseau, le quali hanno tuttavia condotto tale pensatore a maturare una visione lontana da esse. È questo l’obiettivo del denso contributo di Aniello Pignataro dal titolo Il “riformatore” Rousseau visto da Jacques Maritain. Quest’ultimo, filosofo tanto stimato da Paolo VI, ha individuato in Lutero, Cartesio e, appunto, Rousseau i tre “grandi riformatori”, scorgendo quella traccia che, dalla riforma protestante (ambito religioso), passando al razionalismo (ambito filosofico) per giungere all’illuminismo (ambito socio-politico), presenta la parabola della modernità. Naturalmente, il giudizio di Maritain su Rousseau non può essere positivo, in quanto la prospettiva del ginevrino non è aperta alla visione di un Dio persona.

Su questo filo di confronto tra teologia e umano, proponiamo anche una nota critica su uno dei personaggi biblici più stimolanti per riflettere sulle dinamiche e le fragilità dell’uomo: Giuda Iscariota. Non è un caso se la sua figura sia stata ripetutamente esplorata e indagata non soltanto in campo esegetico, ma anche in capo letterario. Nicola Di Bianco ed Emma Grimaldi, in Giuda Iscariota tra memorie neotestamentarie e interpretazioni letterarie, ce ne offrono un interessante spaccato, partendo da autori medievali come Dante e Jacopo da Varazze, fino a moderni e contemporanei quali Thomas de Quincey, Jorge Luis Borges, Bruno Lucrezi, fino ad Amos Oz, famoso scrittore israeliano scomparso il 28 dicembre 2018, mentre stiamo per chiudere questo fascicolo della Rivista. L’emblematicità del profilo di Giuda, quindi, «ci invita a ripensare la dialettica intercorrente tra giudizio morale e tempo storico, rispecchiata in quella tra apparire ed essere» (p. 336).

Giuda rimanda all’evento pasquale, a cui è dedicata la nota critica di Pier Giorgio GianazzaIl mistero pasquale alla luce della Trinità, su cui siamo invitati a rinnovare la riflessione, poiché tale approccio in chiave trinitaria apre l’orizzonte del significato della Pasqua, dono di Dio non solo a beneficio della chiesa, bensì dell’umanità intera, la quale non deve precludersi la via verso il cielo, utilizzando perfino un dono come la matematica, come argomenta Eugenio Bastianon nella sua puntuale nota critica su Matematica e mistica naturale.

Il fascicolo offre pure tre interessanti resoconti di convegni tenutisi negli ultimi mesi. Il primo, di Vikica Vujica, riguarda L’evangelizzazione nell’era post-cristiana (convegno internazionale svoltosi nei giorni 19-20 aprile 2018 a Zara, in Croazia); il secondo di Giuseppe Falanga, dal tema La liturgia risorsa di umanità (69ª Settimana Liturgica Nazionale, tenuta a Matera dal 27 al 30 agosto scorso); il terzo di Michele Giustiniano, su Custodire il creato da credenti (convegno organizzato dall’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della CEI e celebrato a Milano dal 19 al 21 novembre scorso). Si tratta di tre fondamentali frontiere della riflessione teologica, avviata non solo a prendere atto del contesto culturale e sociale contemporaneo in cui proporre in modo nuovo ma fedele il Vangelo, ma dando anche possibilità alla liturgia di rivelarsi come luogo autentico dell’incontro di Dio con gli uomini e di rispondere al programma di Gen 2,15, cioè custodire il creato con la sensibilità e l’attenzione propria dei credenti, finalizzata a valorizzare l’opera che il Signore ci ha donato.

Auguro, pertanto, a tutti i lettori di trovare proficui e stimolanti momenti di riflessione da queste nostre proposte, affinché ne risulti più ricca l’interiorità e motivata la prassi.

 

Gaetano Di Palma